giovedì 17 novembre 2011

Luglio 2005



sabato, 30 luglio 2005

Il tempo che ho ce l’ho tutto intero. Non è vero che passa: resta.
Resta, ogni momento del tempo che ho, stratificato intorno al microscopico grumo da cui sono iniziata.
Avvolto un velo dopo l’altro sullo stesso nucleo, la cipolla di tempo che è me.
Ogni pensiero, ogni sensazione o esperienza non è un invece, è una aggiunta e se tu mi sfogliassi, se mi affettassi, troveresti che sono la stessa: vedresti intoccati e croccanti i miei tre anni e i tredici e i trentatrè, sovrapposti in traslucidi strati bianchi verdi e violetti.
Non sono cambiata, mi sono ingrandita: una rotonda sfera di tempo, sotto una buccia sottile. Puoi tagliarmi a pezzetti ma non puoi suddividere un aroma in momenti: l’odore bruciante che senti è il mio, del mio tempo unico e intero presente e passato.
E quando avrò finito di aggiungere strati, sboccerò in un germoglio che non so, io cipolla, neanche immaginare: un germoglio lucido e verde in un orto là sopra, in un tempo che sarà diverso da questo.

L'unico modo per non piangere mentre affetti una cipolla è respirare con la bocca, solo con la bocca e mai, nemmeno per un istante, col naso. Prova e vedrai se non è vero.


venerdì, 29 luglio 2005

Il tempo stringe.
Soprattutto in vita.
E ha l'orlo un po' sghembo.

Postato da: sphera a 11:21 | link | commenti (17)

giovedì, 28 luglio 2005

E poi, già fa caldo, già c’è quest’aria afosa spessa e umidiccia,
già si è stanchi e infastiditi dalle troppe cose da fare prima delle ferie - e che fare il giorno dopo le ferie non cambierebbe minimamente -
già il caffè qui è così cattivo che è quasi più una punizione che un piacere, già che, che ci manca solo questa invasione di gnè-gnè,
di gattine monelle du du dadada, di allumeuses farlocche come abatjour spolverate di brillantini, di femminucce inquiete che però
fan finta di no.
Come esci dalla cerchia dei noti e fidati ti ingolfi nella fanghiglia brulicante e appiccicosa di mezze civetterie, mezze allusioni, mezze promesse, mezze corsette a farsi inseguire per poi schermirsi mannò ma dai ridacchiando vezzose dietro il ventaglio. Mi legano i denti tanto
da aver voglia di correre a sciacquare la bocca le accerchianti legioni di sbarazzine ansimanti e di frignette che però guarda come son coraggiose, con quei lacrimoni, che tenerezza ti mangerei di baci, micetta.
Sarà che oggi sono di pessimo umore di mio, ma tutte queste paperette gnè gnè io le impalerei.
Così, solo per ripulire un po’ l’aria da questo odore ammorbante
di sospirini al white musk.

Postato da: sphera a 12:22 | link | commenti (20)

Per due volte ha tentato di rubare una barca per andare via acqua dal Lago di Como fino a casa sua in Bangladesh.
Non dovreste preoccuparvi così tanto dell’arrivo degli immigrati giacché appena hanno sperimentato l’Italia farebbero di tutto per potersene andare il più in fretta possibile. Desiderio in larga misura condivisibile, del resto.

Postato da: sphera a 09:44 | link | commenti (3)

...prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.

Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?
(F. De Andrè, 1973)

Postato da: sphera a 09:41 | link | commenti (4)

martedì, 26 luglio 2005

Sei sicuro di voler svuotare il cestino?
Il martedì e il venerdì sono i giorni dell'immondizia. Perciò stamattina alle sei, sommariamente vestita e coi capelli annodati in cima alla testa mi stavo come d'abitudine dedicando alla mezz'ora di merda: secco, umido, nero, lettiera di gatti e quant'altro.
Nell'andirivieni su e giù dal cortile e fuori il portone consideravo che in questa stagione è una incombenza quasi gradevole, col sole appena sorto arancione nella foschia che accende il pulviscolo e riluce sulla plastica nera, bianca, violetta. Ben diverso dall'inferno dei sacchi inzuppati nel buio fangoso di novembre o dalla tortura dell'uscire pressoché in piena notte nel gelo siderale di gennaio (che ha però l'indiscutibile vantaggio che l'immondizia surgelata è inodore).
Comunque sia, ero lì che mi attardavo fuori dal portone a contemplare il magnifico orto del vicino, tanto paradisiaco e lussureggiante, così traboccante di ortaggi, prugne mature dalie e gladioli scintillanti nel primo mattino da far sembrare un oltraggio dovergli depositare davanti la spazzatura. La qual spazzatura mi son trovata a osservare, appunto, con visione d'insieme e poi nel dettaglio. E ho realizzato che questa prassi del differenziare mi informa, con precisione e dovizia di dettagli, delle abitudini dei vicini di casa.
Noto le poco salubri abitudini alimentari degli uni, con un consumo davvero esagerato di dolciastre bevande gassate e piatti pronti di ogni genere e tipo, con netta preferenza per bastoncini sofficini crocchette e un sacco di altri diminutivi da friggere.
Noto il gradimento di questi altri per la birra -heineken in lattina, per essere precisi - accompagnato da una propensione ai dolciumi, snack, biscottini, merende che effettivamente concorda con il loro aspetto paffuto.
Potrei dire anche quali assorbenti usa lei e quali preservativi lui (e, con un po' di applicazione a partire da questo dato e con rilevamenti periodici, stabilire numero e frequenza delle attività interpersonali specifiche). Ma queste son cose private e perciò non ne parlerò.
Ma appunto mi chiedevo, massaggiandomi oziosamente un polpaccio col dorso del piede, in equilibrio sulle mie ciabattine mentre già il sole iniziava a scottare le spalle, il mio secchiello dell'umido in mano: questi sacchi così trasparenti violano l'intimità mia e dei vicini ben più che il rilevare il nostro traffico mail, eppure pare che nessuno si turbi esponendo sulla pubblica via imballaggi incarti e scarti che denudano abitudini e vite.
Poi son salita e ho avvolto ben bene in sacchettini i miei rifiuti privati, prima di portar giù il sacco viola.

Postato da: sphera a 10:43 | link | commenti (33)

giovedì, 21 luglio 2005

oracolati tua sorella.
Intendiamoci, la capacità di preveggenza di cui parlavo ieri,
la chiarezza di visione su una vicenda di cui leggo con limpida disinvoltura e sicurezza lo svolgimento e la trama non si riferisce affatto a me, ma a tutt'altre persone.
Temo che, ahimé, sia necessaria la visione in prospettiva e da fuori, per sapere per benino cosa succederà. Del resto è ovvio che non si possa stare accanto al bersaglio a cronometrare e segnare il punto
se si è l'arco o la freccia.
Per quanto riguarda le faccende mie, infatti, generalmente annaspo nella melma dell'indeterminatezza, pesticcio nell'incertezza, affondo, barcollo, scivolo, m'impiglio e mi rialzo - se mi rialzo - tutta inzaccherata di dubbi.

Postato da: sphera a 10:29 | link | commenti (17)

mercoledì, 20 luglio 2005

oracolo a milano
Sai quando una cosa la sai benissimo, sai come sarà, cosa succederà, punto per punto: la sai tutta.
La sai perché l'hai provata e perché l'hai vista capitare, svolgersi esattamente in quel modo, un sacco di volte. E soprattutto non l'hai mai vista svolgersi in un altro, un qualunque altro, modo.
Certo, in via teorica esiste la possibiltà che una mela invece di cadere a terra si slanci di colpo verso l'alto ridacchiando alle spalle della forza di gravità, ma finora pare non sia mai capitato.
Sai i tempi, sai tutte le tappe, vedi la trama in controluce netta, diritta e precisa come il filo metallico in una banconota.
Vedi il punto d'arrivo con tanta precisione che potresti metterti lì ad aspettare, di fianco al bersaglio, e cronometrare il momento previsto e preciso in cui la freccia non può che colpirlo.
Però stai zittissima. Non una parola.
Perché ognuno, perlamordiddio, ha il diritto di sbagliare per conto suo.

(L'alternativa antipatica è quella invece di raccontare quel che succederà, per filo e per segno e quando sarà successo - ché nessuno ascolta mai gli avvertimenti, si sa - dire anche "Te l'avevo detto, te l'avevo detto, io". Mamma mia che voglia.)

Postato da: sphera a 12:16 | link | commenti (17)

lunedì, 18 luglio 2005

Come mi piace l'impudicizia dell'afa. Non quella dell'abbigliamento
che porta a svestirsi, anche più del dovuto: di quella parlano già le Linesotis nei loro pezzi di ferma condanna alle signore smutandate e discinte, ormai tanto teneramente usuali da segnare tradizionalmente l'avvio dell'estate, assieme alla foto delle turiste coi polpacci a mollo nella fontana (nessuno ne ha mai viste, dal vero: sono le cugine bionde del fotografo che ogni anno le sottopone a questa umiliante rappresentazione), assieme alle raccomandazioni per difendersi dal caldo che uccide - che ormai ci siamo sentiti dire così tante volte che bisogna bere, stare all'ombra, mangiar frutta e verdura e vestirsi di lino e cotone che ci vien voglia di fare il contrario e suicidarci per protesta lasciandoci morire disidratati come meduse, vestiti di nylon nero nella piazza centrale all'una del pomeriggio.
E magari così risparmieremmo l'annuale samaritana rottura di palle
alla ottuagenaria vicina che era tranquillissima nel suo tinello, ombroso come una grotta in ogni stagione e altrettanto delicatamente odoroso di muffa, a bere karkadè e guardar la tv e non stava affatto morendo di ipertermia solitudine e disidratazione.
No, che io amo è lo sbracare da ogni pudore che fa sì che finestre tutto l'anno velate da tende, tapparelle e veneziane restino spalancate a ogni ora del giorno. Perché non tutti hanno l'aria condizionata, checché se ne dica, soprattutto qui nella remota provincia: ci si affida a giochi sapienti di riscontri d'aria, alla assurda speranza che due finestre aperte sulla stessa parete possano fare corrente.
Così se mi affaccio vedo soggiorni e cucine, camerette, corridoi e tinelli. Bagni, persino. E lungo la strada per casa le finestre dei pianterreni, per tutto l'anno inviolabilmente serrate, si arrendono aperte del tutto a mostrare i loro segreti a te che passi per strada, così a a portata di mano che potresti metter dentro la testa
e annusare e mescolare il soffritto che vedi sul gas o allungare la mano a sfogliare la Gazzetta appoggiata sul tavolino, vicino alla bomboniera quasi swarovski che fa da posacenere, pieno.
Non sono una guardona, non proprio: di quegli interni non mi interessa la gente, o almeno non tanto. Quel signore sbracato
sul divano, le bianche gambe pelose illuminate dalla luce azzurrina
di un film, quella signora che rassetta le stoviglie tremolando una sovrabbondanza di carne in canottiera e pantaloncini da tuta,
quel ragazzino che aveva già fatto mezza doccia quando ha realizzato di essere davanti al mondo e ha chiuso le tende e abbassato la radio, loro mi piacciono, sì, ma anche se non ci fossero non avrebbe importanza.
A me piace guardare le case, le mensole, i frigo, le stoffe sopra i divani, i quadri alle pareti e le luci. Le luci agghiaccianti dei cucinotti al neon e quelle troppo gialle dei tinelli irranciditi, le luci mielate
dei soggiorni di melammina rustica e le onnipresenti sfarfallanti di blu
di uno schermo riflesso in ogni finestra.
E i rumori, che finalmente si sentono bene: l'acciottolare dei piatti
e gli spari del telefilm, un bambino lagnoso e i bassi tesi di una discussione infinita, il martellare rock di una mansarda, una bachata mischiata al tg, un cane, i piccioni e una ondulante cantilena egiziana.

Postato da: sphera a 08:50 | link | commenti (20)

venerdì, 15 luglio 2005

Altro che il Bartezzaghi.
A dire la verità mi sono sempre chiesta come facesse a funzionare
un meccanismo tanto complicato come quello dei cartelloni delle partenze e arrivi, sapete quelli in cui per ogni lettera o numero c'è
un mazzetto di cartellini - anzi due mazzetti perché ogni lettera è divisa a metà in altezza - e ad ogni aggiornamento girano tutti, velocissimi, e tac, si ricompongono i nuovi orari.
Mi sono soffermata spesso a guardare, il faccino sollevato e gli occhi sgranati dalla meraviglia, questo prodigio della meccanica, affascinata dalla sua precisione.
E difatti ieri il treno per Stradella era indicato su un cartellone come STROOELLI e su un altro come FTRADELYO. Quello per Lecco era NECCZ e LEECI e Como era diventato un quasi chimico CHM2.
Comunque, l'importante è capirsi.

Postato da: sphera a 11:08 | link | commenti (9)

martedì, 12 luglio 2005

Una risata ci seppellirà.

- L’ingegner Bianchi è proprio un cretino.
- Eh?
- Ma dai, scherzavo.

- Certo che la Giuliana è una gran troia.
- Ma cosa dici???
- Sto scherzando, su.

- Il Magni io non lo sopporto, lo detesto.
- Oddio, non sapevo...
- Ma si scherza, no? Son cose che si dicono.

- Madonna ma come sei vestito? Ti stanno da cani quei pantaloni, sembri un cretino.
- Ah... ma...
- Scherzo, dai. Era una battuta.

Sempre più spesso mi capita. E allora ho imparato che è così che funziona: dite quel che volete, le cose più maligne, più assurde, più campate per aria, più offensive.
Poi dite che stavate scherzando.
Siamo un popolo lieto e zuzzurellone, ci scompisciamo dalle risate.

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