martedì 29 novembre 2011

Maggio 2006

domenica, 28 maggio 2006

- Buongiorno, solo una cosa. Qui dice che cinque litri bastano per 40 metri quadri: si intende per una mano, vero?
- Cosa deve fare?
- Tinteggiare un muro.
- Sì, questo è ovvio.
- Appunto.
- Ma che muro?
- Bastano per una sola mano, giusto?
- Ma cosa deve fare?
- Tinteggiare. Per due mani ho bisogno dieci litri, vero?
- Ma cosa deve fare? Quanto grande è la stanza?
- Il muro. Trentasei metri quadri.
- Non è una stanza?
- No, è un muro. Penso intendano che bastino per una sola mano, mi conferma?
- Sarà mica un muro esterno?
- Sì.
- Ah, ma questa non va bene per gli esterni.
- Ma c’è scritto di sì. C’è scritto “Per interni ed esterni”.
- Sì, ma non c’entra. Venga, le faccio vedere.
- Guardi, non c’è bisogno, io volevo solo essere sicura che per due mani devo prendere dieci litri.
- Ecco. Deve usare questa, per esterni.
- Ah. Sì, l’avevo vista. Ma io non voglio una tinta plastica.
- Questa non è plastica, è al quarzo.
- C’è scritto che è plastica. C’è scritto “Plastica al quarzo”.
- Sì. Ma non c’entra. Lei deve usare questa, per esterno.
- Ma a me questa non piace. Non la voglio, plastica.
- Come non le piace?
- Mi fanno schifo le tinte plastiche.
- Ma come schifo? Guardi che l’altra le si sbiadisce!
- Appunto. Quello voglio: che si sbiadisca.
- Beh buongiorno, eh.

Se ne va, molto seccato, i lembi del camiciotto da SpecialistaBrico che svolazzano nervosi.
Ma non è che volessi fargli un torto: mi fanno schifo davvero le tinte plastiche. Mi inorridiscono i muri che con gli anni, il sole, la pioggia non cambiano, si sporcano e basta.
Le tinte di una volta non erano così: si fondevano alla materia del muro e poi scolorivano, venivano sbiadite dal sole dove batteva più forte, scurivano infarinate di microscopiche muffe e licheni nelle parti umide e all’ombra, si sgretolavano un po’ più qua che là. Nessun muro di vecchia casa è uniforme e triste come un vassoio di plastica: sono sfumati, marezzati, acquerellati, screziati.
Certo, pur rifuggendo quelle a base plastica purtroppo anche le tinte a base acqua oggi sono di fatto a formulazione chimica e quindi hanno una stabilità quasi totale, ma si fa quel che si può.
Avessi avuto più tempo e denaro mi sarei procurata quelle che fanno alcune aziende, totalmente naturali, che cambiano col tempo e hanno i colori caldi dei pigmenti organici e non quelli acidi da video della pigmentazione chimica (gli indirizzi delle aziende però li tengo da parte per un domani).
Intanto il muro l’ho pitturato – da queste parti gli imbianchini, correttamente a mio parere, li chiamano pittori – ed è venuto discretamente bene.
Non sono molto soddisfatta del colore però, troppo giallino chiaro. Eppure per saturarlo ci ho buttato di tutto, in quella tolla: acquarelli arancione e gialli, tempere ocra, terra di siena e d’ombra e due bustine di zafferano. Avevo in casa solo quelle due purtroppo, non ci avevo pensato. Ma quando lo ritinteggio ne metto almeno una decina, penso venga un bellissimo colore.
E magari a passargli vicino quando il sole lo scalda avrebbe un leggero aroma di risotto. O anche a leccarlo, magari.

Postato da: sphera a 12:36 | link | commenti (27)

venerdì, 26 maggio 2006

Rust never sleeps

Perché ieri è stata una giornata rugginosa, di quelle che devi spingere per mandare avanti, e cigolano e slittano.
E cigolava ieri sera, molto rugginosa, anche l'armatura: quella che ti metti ogni mattina prima di partire per una interminabile sequenza di battaglie, alcune piccolissime e maleodoranti – come quella contro le innumeri merdine che i sei gattini disseminano ovunque – altre impegnative e sanguinose ma non meno sgradevoli. Parecchie solo estenuanti e noiose, guerre di posizione dove ogni giorno combatti per non perdere terreno senza mai riuscire a guadagnarne. E poi quelle lampo, inaspettate e violentissime: pochi minuti di fragore, gravi danni collaterali e identità dei vincitori del tutto incerta. Per non parlare di quelle non convenzionali, disseminate di trappole e asfissianti di armi chimiche.
Senza contare che alla lunga guardare attraverso la stretta fessura della celata diventa faticoso e l’alabarda provoca la sindrome del tunnel carpale.
E però si va, ogni mattina, tolta l’armatura dall’ometto dove l’hai appesa la sera, ben calato in testa l’elmo, due gocce di olio lubrificante alle giunture (quello per le macchine da cucire va benissimo), e via che si va, scintillanti sotto il sole, l’acciaio tanto lustro che da lontano fa la gibigianna.

Passa un giorno, passa l'altro
mai non torna il prode Anselmo,
perché egli era molto scaltro
andò in guerra e mise l'elmo...

Mise l'elmo sulla testa
per non farsi troppo mal
e partì la lancia in resta
a cavallo d'un caval.

La sua bella che abbracciollo
gli diè un bacio e disse: Va!
e poneagli ad armacollo
la fiaschetta del mistrà.

Poi, donatogli un anello
sacro pegno di sua fe'
gli metteva nel fardello
fin le pezze per i piè,

Fu alle nove di mattina
che l'Anselmo uscì bel bel
per andare in Palestina
a conquidere l'Avel.

Come fu sul bastimento
ben gli venne il mal di mar
ma l'Anselmo in un momento
mise fuori il desinar.

La città di Costantino
nello scorgerlo tremò;
brandir volle il bicchierino
ma il Corano lo vietò.

Pipe, sciabole, tappeti, mezze lune, jatagan,
odalische, minareti,
già imballati avea il sultan.

Quando presso i Salamini
sete ardente incominciò
e l'Anselmo coi più fini
prese l'elmo e a bere andò.

Ma nell'elmo, il crederete?
c'era in fondo un forellin
e in tre dì morì di sete
senza accorgersi il tapin.

Passa un giorno, passa l'altro
mai non torna il pio guerrier
perch'egli era molto scaltro
andò in guerra col cimier.

Col cimiero sulla testa
ma sul fondo non guardò
e così gli avvenne questa
che mai più non ritornò.

Postato da: sphera a 10:31 | link | commenti (9)


martedì, 23 maggio 2006

Comunque poi al laghetto ci sono andata, l'altro giorno. Non si vede una casa sulle sponde, solo alberi e canneto e sotto i rami l'acqua incipriata di polline, nelle anse fitto come un tappetino.
All'ora in cui il cielo comincia a sbiadire inclinandosi come una tazza e sotto le piante è già quasi sera stanno sgranati lungo la riva, silenziosi, i pescatori. Una signora, anziana e massiccia, invece di un seggiolino come gli altri si porta una poltroncina di plastica col cuscino a fiori. Mi hanno detto che l'altro giorno ha preso una anguilla, bella grossa.
Noi abbiamo pescato cinque pescigatto, due persici sole raggiati e acuminati e due carpe regina, entrambe molto piccole. Una l'ho presa io, mi stava nel palmo della mano e aveva minuscole squame disegnate con un perfetto e sottile contorno nero, fatto a china. L'ho ributtata in acqua perché è un pesce prezioso che deve avere tempo di diventare molto grande. Quando sarà lunga un metro e grassa, e io avrò imparato a pescare i lucci, tornerò a salutarla.
Abbiamo ributtato tutto, tranne i pescigatto, che hanno la pancia gialla come un tuorlo d'uovo.
Adesso il pescegatto nuota nella boccia toccandola tutta con i suoi lunghi baffi neri. 
Fa molto, molto rumore con la bocca. E forse col tempo diventerà color papavero, perché gli do il mangime che si da ai pesci rossi.




Postato da: sphera a 09:48 | link | commenti (10)

martedì, 16 maggio 2006

Bisogna anche sapere com'è fatto, questo posto. Com'è questo terrazzo sghembo, aperto su tre lati con la ringhiera con i ricciolini ma sottile che quasi non si vede, tanto che la prima volta la gatta è scappata dentro come se avesse paura, come se fosse un vuoto da cui si cade giù.
Anche cadendo però non si farebbe male, si è soltanto al primo piano che poi è anche l’unico perché sopra non c'è altro, solo il tetto e la soffitta che quando sarò più ricca diventeranno altre stanze, bianche e spioventi con le finestre che vedranno solo cielo.
Bisogna guardare giù in cortile per vedere com’è questa Brianza meticcia, come sono strane queste linde facciate da didascalica ristrutturazione svizzera - intonaco plastico in colori di torta tirato col righello intorno a persiane lucidate a specchio - affiancate a residui di cascina sbrecciata, consunte sbilenche sovrapposizioni di muri e finestre messi lì un po’ dove man mano servivano, con il laboratorio del fabbro in pensione dove lui lavora ancora ogni tanto il sabato mattina presto, con colpi sordi e stridori ossidrici, sotto i fienili con mucchietti di paglia smunta dimenticata da vent'anni raggiunti in bilico da scale a pioli smussate dalla pioggia.
E dall'altro lato balconi anni settanta stretti, con finestre spalancate su televisori sempre accesi che illuminano stendibiancheria affollati, risate magrebine e uomini che fumano appoggiati alla ringhiera verso sera, e nessuno che si sieda mai sulle seggioline di quei colori acidi che prende la plastica triste quando scarmuntisce al sole, appoggiate al muro marrone su cui si condensano salendo voci e odori di pizzeria a buon mercato.
Dietro ci sono le colline, vicine e fatte di alberi e boschi e uccelli, frutteti e vigne e sterrati ed erbe. Non è lontano il fiume, largo di correnti abitate da invisibili pesci siluro enormi come sommergibili alieni, terrori del locale pesce persico, è vicino il laghetto con le sponde di canneto folto e salici selvaggi e ontano nero, dove i pescatori aspettano in silenzio il luccio e la tinca, e che fiorisca la ninfea a piastrellarlo di foglie tonde e fiori impressionisti.
Ma qui davanti, un po' di lato, bordeggia la statale, flusso di camion quasi ininterrotto tra una casa e l'altra, e suona il cicalino da sveglia della gru dietro la strada, nel cantiere dove stanno costruendo un supermercato, no, delle case, no, delle palazzine coi negozi, no, non si sa: stanno costruendo però, la gru guarda come gira e tutte le volte che si muove ti avvisa, con lo stesso verso stridulo del forno a microonde.
Poi quando vai in paese vedi affissi cartelli che avvisano del ritiro di vecchi indumenti e carta e la cosa bella, quella che mi fa sorridere quasi fino a sera, è che nell'elenco dei punti di raccolta c'è la piazza della chiesa certo, c'è l'oratorio, ma poi c'è anche "Cornello, cortile della Sig.ra Ida".
Bisogna sapere come mi piace che possa bastare questo, che questo sia un posto dove tutti sanno qual è il cortile della Signora Ida.

Postato da: sphera a 12:40 | link | commenti (17)


giovedì, 11 maggio 2006

Margherita, portata appositamente da me davanti alla radio nel momento culminante ascolta, emozionata, la proclamazione del Presidente della Repubblica, l'applauso. Le piace così tanto che mi schiocca un bacio, saltellando tutta come fa quando è contenta. Poi mi dice:
- È bravo?
- Sì.
- Che bello, però.
- A te piacerebbe fare il Presidente della Repubblica?
- Ma ce ne sono di femmine?
- In Italia per ora no, ma ci saranno.
- Ma possono???

Ecco, se cresciuta da una donna in ambiente decisamente progressista una bambina intelligente può fare una domanda del genere mi fa pensare che altro che quote rosa: è sui ragazzini che bisogna lavorare, perché nonostante tutto quello che si fa si trovano a vivere per gran parte del loro tempo in un mondo fasullo e distorto.
Ho chiesto in giro: non un solo insegnante ha ritenuto opportuno, in questo periodo, spiegare come si eleggesse il Parlamento o il Presidente o si formasse un Governo. Mi dicono che è in programma in un altro momento - o forse in un'altra classe, non ho capito bene.
Eppure a loro interessa, eccome. Ho risposto a tante di quelle domande in quest'ultimo mese che potrei presiedere la Corte Costituzionale.

- Sì, possono. Possono fare tutto quello che hanno voglia e sono capaci di fare. Tutti possono.
- Oh. BELLO.

Postato da: sphera a 14:00 | link | commenti (21)


giovedì, 04 maggio 2006

Dunque, siamo germogliati.
Nascere è difficile, è faticoso, ma ogni tanto capita.
Capita più frequentemente in primavera, ma non sempre. Succede che ti senti un po' strano e un po' sbagliato, come ti stesse stretta la pelle, il guscio, e inizi a dibatterti, a girare in tondo attorno a te stesso, a secernere un lungo filo aggrovigliato di bava e di pensieri finché ne sei tutto avvolto. E lì dentro naturalmente non risulti molto comunicativo, più che altro sei concentrato, zitto e a denti stretti, a spingere e tirare, ad avvoltolarti e lottare con antenne piume e gemme, da far spuntare o da strappare via.
I bozzoli sono scostanti e irsuti, danno poca confidenza. Attaccati in cima per un niente come bucato steso alle intemperie, sballottati tra temporali e grandine, tra sonno metamorfosi giramenti di palle e arcobaleni, sono molto presi, hanno da fare.
Poi finalmente in una mattina di sole germogli e nasci, sgusci dall'involucro sospirando di sollievo, con le tue ali e zampe tutte nuove, iridescenti, metallizzate e pronte, che si muovono tutte insieme.
Sei diverso da prima, un po' più farfalla o un po' più ragno, con tre foglie di basilico, una d'aglio e due di ortica.
E ti spalanchi al vento e ti asciughi al caldo prima di svolazzare via tutto contento e indaffarato, adesso che il mondo è tornato a posto, tu sai esattamente dove sei e ci sono un sacco di tele nuove che non vedi l'ora di stendere tra un ramo e l'altro.
Certo, si sa che volte basta un vento forte a farle volar via. Vola di tutto, in queste stagioni: pollini e pappi di pioppo, polvere e ragnasse, piume di salice e fiocchi di tifa, rondini, soffioni di tarassaco, svassi e dirigibili.
Che le ragnatele sembrino faccende fragili, fatte più che altro di invenzioni e di saliva, questo noi ragni lo sappiamo bene.
Ma di questi materiali ne abbiamo in abbondanza, e anche di zampe e occhi e bocche, così dondoliamo e facciamo ridanciane giravolte, a testa in giù, appesi a un filo serico lunghissimo d'acciaio, tra l'erba e il noce.

Postato da: sphera a 12:03 | link | commenti (14)

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