giovedì 17 novembre 2011

Settembre 2005

Venerdì 30 settembre 2005


I egg a dream.
Mi sono svegliata, poi addormentata di nuovo malgrado la luce, e poi risvegliata ancora, spalancando gli occhi sapendo che stavo sognando, e sognavo di mettere un soldo in un distributore di bibite, che però non funzionava.
Ho pensato che era un sogno ben scemo: perché mai, mi chiedevo - ostentando di non accorgermi che avevo un po’ caldo, che mi aveva punto una zanzara su una caviglia, che i colombi sulla grondaia facevano un rumore d'inferno e che tutto sommato era ora di alzarsi - perché mai uno deve sognare di mettere una moneta per prendere mezzo litro d'acqua? A cosa mai potrà servire un sogno così? Soprattutto considerando che quel banalissimo fatto non aveva, nemmeno a cercarlo, il minimo riscontro emotivo: non desiderio, non ansia, non frustrazione, non aspettativa, niente. Nemmeno sete, neanche.
Mentre stavo riflettendo sul fatto che ci sono dei sogni che davvero ti paiono inutili e chissà per quale incomprensibile motivo li fai, mi è venuto in mente di aver letto che stanno studiando i sogni degli animali. 
Non mi ricordo con precisione, ma credo si parlasse di cani e di gatti. Tutti abbiamo visto dei cani sognare e muover le zampe e digrignare i denti, e non so perché ma io sono abbastanza sicura di sapere cosa sogna un cane.
Ho realizzato anche che sono convinta di sapere più o meno cosa sogna un gatto, però poi ho pensato ma invece chissà una balena, una capra, una mosca, un cavallo. 
Ecco: chissà che bei sogni che fa un cavallo. Mi è tornata in mente una ninna nanna che era su un disco finito chissà dove, che parlava del sogno di un cavallino e diceva che sognando lui galoppa su piste d'erba verde, non ha nessuno in groppa lui corre e ci si perde. 
Così ho lasciato vagare un po' la mente intorno ai sogni verdi dei cavalli e poi ho pensato: ma la gallina? La gallina che - come si sa- non è un animale intelligente, cosa sognerà? Un uovo. Secondo me la gallina sogna un uovo. Sempre e solo un uovo, sempre e solo quel sogno: un uovo, solo e perfetto su uno sfondo neutro. Un sogno noiosissimo. E mi è venuto da ridere, pensandoci.
E ho pensato alla gallina che fa l'uovo tutti i giorni - che è anche una fatica tutto sommato - e a com'era bello che la nonna diceva le galline han fatto l'uovo vai a prenderlo, tu andavi e lo cercavi un po' poi lo trovavi, tutto caldino, e lei lo apriva e versava via la chiara, ci metteva un pizzico di sale e un goccio di limone e lo bevevi dal guscio perché faceva benissimo, ai bambini, e anche se ogni volta ci voleva un po' di coraggio per inghiottirlo quel tuorlo così grosso e giallo che ti guardava, però era buono davvero, poi, che si struggeva in bocca dolce salato e un po' asprino di limone.
Ma in effetti, a pensarci, quella cretina mica ci stava sopra, all'uovo, lo faceva e poi andava a becchettare o a far chissà che, tant'è vero che tu lo trovavi lì bello, lasciato nel nido caldo di paglia che aveva la forma tonda del suo sederone di piume. 
Per quello, ho pensato ridacchiando nel letto, per quello lo fa tutti i giorni: perché poi torna e non lo trova e dice o perbacco ma io l'ho ben fatto un uovo... o no? Magari mi pareva di averlo fatto e invece no. Infatti qui non c'è, sta a veder che mi son sbagliata. Magari è meglio se ne faccio un altro.
Ogni giorno. Ogni giorno così. Per quello non fa che sognarlo. Lo sogna e lo fa. E poi non sa se l'ha sognato o lo ha fatto, se l'ha fatto o solo sognato e allora lo rifà. Rifà il sogno, rifà l'uovo.
Ma diomio che pensieri scemi mi vengono. Ho il lenzuolo attorcigliato su un piede, devo essermi un po' riaddormentata. E forse ho sognato una gallina.
O era un uovo?

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venerdì, 16 settembre 2005

Autorità e autorevolezza, potere e dominio, piselli e non.

Quando nel corso di una sessione di bagnetto serale accompaganata, come è d'uopo, dalle dovute osservazioni e comparazioni anatomiche, il mio fratellino di tre anni colto da improvvisa incertezza chiese a me, sorella di due anni maggiore e quindi infinitamente più grande e saputa "Ma tu, perché non ce l'hai il pisellino?" io risposi: "Non preoccuparti, poi cade anche a te."

Ero lontanissima dall'intenzione - per la quale mia madre mi ha poi a lungo e severamente rimproverato - di essere cattiva e di volerlo spaventare a morte: avevo semplicemente e d'istinto reagito secondo i principi comunicativi dell'autorevolezza, dell'autorità e del dominio che, come avevo accennato parlando di rane, crescendo da maggiore e femmina in un gruppetto di fratelli e cugini ho dovuto imparare a utilizzare con destrezza ben presto.

Tanto per cominciare, a una domanda di cui non si conosce nel modo più assoluto la risposta, fondamentale è rispondere all'istante, con prontezza. Il più grande - in senso anagrafico o gerarchico, la faccenda è identica - non ha, mai, incertezze o dubbi: ha limpide, immediate certezze.
Altrettanto necessario è che la risposta, per quanto appaia improbabile, non sia però del tutto inverosimile, perlomeno rapportando la verosimiglianza al grado di conoscenze e credulità degli astanti: nemmeno un fratellino di tre anni avrebbe probabilmente creduto a un drago verde che spuntasse dall'angolo del corridoio dell'asilo per mangiare i piselli ai bambini, ma che un'appendice tanto strana e di dubbia utilità a un dato momento potesse cadere è ipotesi che può ben apparire ragionevole.
Inoltre, va osservato il fatto che una domanda che seppur velatamente adombra una manchevolezza viene abilmente rovesciata nel suo opposto, facendo apparire l'assenza di qualcosa come un passaggio a un grado evolutivo superiore: non di mancanza si tratta, bensì di un più avanzato livello, raggiungibile solo al liberarsi di alcune inutili scorie.
Da tenere ben presente anche la formulazione della sentenza, che per essere efficace deve essere stringata, sintetica, icastica: il profondersi in dettagli e spiegazioni fa subodorare immediatamente l'inganno. Come nel caso delle bugie deliberate il dilungarsi in particolari, oltre che rischioso, sminuisce e diluisce il messaggio.
Non va però posta l'affermazione in maniera arrogante o proterva, ma come un semplice, nitido dato di di fatto. L'eccessiva tracotanza o sicumera induce sempre alla diffidenza e al sospetto: il responso va lasciato cadere come ineluttabile destino, non forzato con ringhiosa insistenza.
La comunicazione, infine, è opportuno sia vagamente oracolare, tale che lasci molto di non spiegato: in particolare, non vanno descritte le modalità di un accadimento, ma solo la certezza del suo realizzarsi. L'aleggiare di ansia crescente - che inevitabilmente segue a un pronostico dato per assolutamente certo ma altrettanto assolutamente non chiaro nelle sue modalità - è determinante nel mantenimento della dominazione.

A cinque o sei anni queste cose si sanno benissimo, laddove sapere non significa comprendere razionalmente ma semplicemente usare, con fluidità e destrezza.
Nessun consiglio di amministrazione, nessuna assemblea, nessuna contrattazione ad alto livello o schermaglia politica, economica o militare ha la fredda e pulita, feroce nitidezza della presa del potere in un asilo infantile o una scuola elementare.
Poi, e solo poi, ci si rammollisce e si inizia a mediare. Sotto i dodici anni non si fanno prigionieri.

(per chi si preoccupasse, preciso che mio fratello è poi cresciuto sano, sereno ed equilibrato: il dover precocemente e brutalmente venire a patti con l'ansia di castrazione pare che male non gli abbia poi fatto)

Postato da: sphera a 11:36 | link | commenti (18)


lunedì, 12 settembre 2005

Vite, istruzioni per l'uso.

Durante le ferie mi sono dedicata per buona parte del tempo all'edilizia ed allestimento d'interni.
Siccome da ogni esperienza - si sa - è bene imparare qualcosa, nel corso dei lavori ho provveduto, col mozzicone di matita tenuto a questo scopo dietro l'orecchio, a prendere appunti, alcuni dei quali in condizioni estreme, in cima a una scala con chiodi e tasselli ben stretti tra le labbra e trapano fumante alla cintola.
Li trascrivo ora qui, dallo stropicciato foglietto a quadretti, confidando possano essere di qualche utilità. Riguardano, naturalmente, il senso della vita.

- La vite ha un senso. Se ti ostini a esercitare forza nella direzione sbagliata ti stancherai molto senza ottenere alcun risultato.
- Anche rubinetti, dadi e bulloni hanno un senso per fare una cosa e uno per fare l'opposto: se non ti è chiaro se quel che vuoi fare è aprire o chiudere è meglio soprassedere all'operazione.
- Il martello, invece, ha un unico senso: usalo solo se sei ragionevolmente certo di non colpirti le dita.
- Se ti dai una martellata su un dito, se cadi da una scala, la colpa non è del martello, non è della scala.
- Aver preso male le misure comporta quasi certamente il fare un immane pasticcio: misura bene, e poi vai deciso.
- Le misure non si prendono solo con metro e bindella: il colpo d'occhio e la sensazione che tutto sia giusto spesso funzionano meglio di ogni squadra o livella.
- Per reggere qualcosa di un certo peso servono tasselli di sostegno adeguati: puoi confidare su un instabile gioco di forze, ma sappi che l'equilibrio è difficile da calcolare e ancor più difficile da mantenere nel tempo.
- Se fai un buco troppo stretto non riuscirai a collocarci un bel niente, se lasci troppo gioco al tassello si sfilerà e cadrà tutto quanto: capire l'ampiezza entro cui devi operare è cosa da verificare con cura.
- Ci sono punti dove un sasso o una trave rendono impossibile forare: insistere è inutile e lede la punta del trapano, spostati, anche di poco, più in là.
- Il pensiero che tanto potrai sempre stuccare è fallace: concentrati, e fai fin da subito il meglio che puoi.
- Puoi coprire con giornali e mascherare con nastri di carta fino allo sfinimento: se non hai mano ferma e sensazione di dove e come è diritto non sarà mai tinteggiare ma solo imbrattare.

Resta sempre una grande risorsa, in ogni caso, il Teorema Grecia:
quando devi sistemare qualcosa, se non puoi dargli una mano di calce vernicialo di azzurro.

Postato da: sphera a 12:45 | link | commenti (30)


venerdì, 02 settembre 2005

Partire alla lontana e arrivare alla vicina.

Si parla del partire per le vacanze, e del fatto che in quel caso partire non è affatto un po' morire. Ma si parla soprattutto del tornare, che un po' morire effettivamente è. Non certo per causa di una qualche improbabile sindrome da rientro, o di una pretestuosa depressione post-ozium, bensì per gli effetti di quell'epifania che mi ribaltò la vita all'età di otto anni.
Ora, bisogna sapere che secondo me ci sono nella vita di una persona dei momenti cardine, delle epifanie appunto, in cui all'improvviso - con un guizzo, uno scatto, del tutto senza preavviso - il mondo, l'universo, la vita e te lì in mezzo cambiano assetto e posizione e da quel momento in poi sono diversi, per sempre.
Illuminazioni, appunto: perché è un po' come se tu nascessi in un immenso luogo buio - una via di mezzo tra un hangar e una cattedrale diciamo, ma molto più grande, infinito diciamo - e inizialmente vedessi, al fioco chiarore di una lucina, appena appena le tue mani, i tuoi piedi forse. Poi si accende una lampada, di colpo, con un secco scatto di interruttore e tu vedì cosa c'è un po' più in là, cose, contorni, confini.
Per lungo tempo a seguire magari nulla, ed ecco: quando meno te l'aspetti schiocca un altro contatto, una valvola, un relè, e una fila intera di neon ti fa vedere qualcosa che prima nemmeno immaginavi ci fosse.
Magari non per tutti è così, intendiamoci: magari per altri certe consapevolezze arrivano piano, rischiarandosi poco a poco come in una alba lenta, ma a me è questo che capita. Sto lì a farmi i fatti miei e di punto in bianco mi si accende un'alogena, mi si rovescia e ricompone il mondo davanti e mi tocca rivedere tutto quanto alla luce di questi watt inattesi.
Non che capiti spesso, a tutt'oggi non più di quattro o cinque volte* (e posso ragionevolmente presumere non più di altrettante in futuro) ma quando capita è come essere, ogni volta, un pulcino che esce allibito dall'uovo il cui guscio lui aveva pensato comprendesse tutto quello che c'era da sapere.
Lo so, la sto prendendo alla lontana, ma ora ci arrivo. Fatto si è che una di queste illuminazioni l'ho avuta quando avevo sette o otto anni, il giorno in cui dopo tre mesi di vacanza i miei genitori mi han detto di salire in macchina, che si tornava a Milano.
Non so come mi fosse le altre volte apparsa la cosa: forse perchè i bambini più piccoli vivono un eterno presente - sto giocando nel bosco - sto viaggiando con mamma e papà - ecco la mia cameretta - forse, non so, non mi ricordo. 
Ma ricordo come fosse adesso che il mondo si è ribaltato e ho capito, d'improvviso e per tutta la vita, che correre sul prato era finito, che l'estate era finita, che quell'estate era finita in eterno, che non sarebbe tornata mai più. Ho visto, con una vertigine di spavento, che il tempo esiste e va solo in avanti.
E sono scappata.
Non sono scappata nel bosco perché pensassi che sarei riuscita a sfuggire: non ero così irrazionale, nemmeno allora, e poi l'avevo visto, illuminato e chiaro e nitido e indiscutibile, e sapevo che non c'era rimedio.
Sono scappata per far durare quel tempo un pochino di più: finché fossi stata tra i prati, anche solo un momento, ancora un po', ancora solo un minuto, per favore, ti prego, la vacanza non sarebbe finita.
E se i miei genitori erano decisamente irritati mentre mi inseguivano su e giù per i bricchi - e ho tuttora la sensazione che se avessi fatto ancora uno sforzo li avrei seminati, ché loro tra quell'erba correvano molto meno veloci di me - quando mi hanno raggiunto non son riusciti a sgridarmi, scossi dal fatto che io stessi piangendo tutte le mie lacrime.
Non poteva naturalmente sapere, mia madre, che a farmi singhiozzare non fosse il disappunto momentaneo per la fine di una villeggiatura ma il fatto sconvolgente di aver capito che non c'è soltanto un adesso ma un prima e un dopo, che quando l'adesso è diventato un prima non torna, che le cose finiscono, che il tempo finisce.
Non lo sapeva, ma esercitando per diverse ore la potenza del suo talento affabulatorio nel descrivermi tutte le bellissime cose che avrei fatto da quel momento in poi, blandendomi con tutti i meravigliosi accadimenti che dovevano ancora venire, mi offrì una ricetta. Per quanto mi rendessi ben conto di quanto fosse momentanea e nient'affatto risolutiva (non ero così tonta da non capire che se le cose finiscono, per quanto belle siano e per quante se ne susseguano prima o poi finiranno, tutte) mi sembrò funzionale accettarla, visto che in una qualche maniera di questa cosa se ne doveva venire a capo.
La formula della mamma derivava naturalmente dal motto che informava e avrebbe sempre informato la sua vita (uno dei motti, non il solo, ma direi il principale): "vedi il lato positivo". Non lesinò lati positivi, lei, quella volta: gli amichetti da ritrovare, i quaderni nuovi, la bellezza delle foglie che cadono, le caldarroste, i cartoni animati, la neve. Arrivò a prospettarmi le delizie del Natale "che arriva in un attimo, vedrai".
Comunque sia, a volte con scioltezza a volte raschiando dal fondo del pentolone le scarse e un po' raggrinzite evidenze di cose positive, è una ricetta che finora mi ha dato sostentamento e calorie bastanti.

Così due giorni fa, terminando le vacanze e avviandomi a iniziare un anno di lavoro e di corse e di obblighi e doveri, ho pensato ai lati positivi. La mia casa nuova e bella, sì, in cui passare il primo inverno, gli amori da coccolare, sì, gli amici di città da rivedere, sì, l'ufficio nuovo, che abbiamo appena traslocato e questo è più bello (con un po' di sforzo ma sì, dai, facciamo che sì), la gatta che ha fatto cinque gattini (oddio, oddio, oddio!), ma sì, pensa che belli i gattini, sì.
Non ultimo il fatto che la vicina di sotto, quella con la faccia da stronza, quella che sembrava sempre avesse inghiottito un bastone, a quanto risulta è scomparsa: dopo innumerevoli e sconcertanti - per modalità e sonorità - litigi pare abbia fatto le valigie mollando il vicino. E dal faccino rilassato e garrulo con cui lui mi ha salutato ieri, tanto diverso dal brontolare torvo di prima, direi che anche il cupo il suo lato positivo per quest'anno l'ha trovato. Magari, ecco, l'ha trovato anche la vicina.

* magari se mi viene racconterò anche le altre, forse.

Postato da: sphera a 11:13 | link | commenti (19)


giovedì, 01 settembre 2005

Avete presente quando si dice "...e si ricomincia, con rinnovato entusiasmo"?
Ecco, il contrario.

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