giovedì 12 gennaio 2012

Dicembre 2011

venerdì, 16 dicembre 2011

Istruzioni per l'uso delle lucine di Natale.

Primo. Se le accendete tenetele accese.
È vero che ci hanno ribadito fino all'estenuazione che siamo tetri e depressi, che siamo cassintegrati disoccupati e indebitati, è vero che ad ogni istante veniamo severamente ammoniti per la nostra sfrenata tendenza al lusso e spronati ad una austera sobrietà. È vero. Ma le luci si vedono al buio.
Se come gli austeramente pidocchiosi commercianti qui della contea le si tiene accese solo negli orari di apertura, se come i sobriamente taccagni compaesani l'alberello lo si spegne quando si va a letto - che tanto se dormiamo non lo vediamo - succede che dopo le dieci di sera il villaggio è gelido, disadorno e oscuro che nemmeno a Mordor quando sono di malumore.
Le luci hanno senso quando fa buio: se si spengono perchè tanto di sera non c'è in giro nessuno tanto vale risparmiarsi la fatica di scale e chiodini sprecata per inghirlandare il mondo con grovigli di cavi.

Secondo. Se sono accese sono accese, se sono spente sono spente.
Siamo già tesi, siamo già agitati senza bisogno di essere mandati in iperventilazione da una nevrastenica cacofonia di acceso/spento-acceso/spento-acceso/spento-acceso/spento-acceso/spento-acceso/acceso/spento/spento.
Quale bisogno ci sia di questa luminescenza ossessa, di questa psichedelica fibrillazione nessuno pare in grado di spiegarlo. Nemmeno ammettendo l'ingenuo entusiasmo, il candido infantilismo tecnologico che guarda, siamo capaci di accendere una luce e poi spegnerla, guarda, guarda vedi che si accende e poi si spegne e poi si riaccende, hai visto, hai visto?
Accese e basta, per favore. Vedrete quanta tachicardia in meno. Da quando ho messo le lucine fisse non picchio quasi più la moglie, per dire.

Terzo. Scegliete come si deve i colori.
Nella nostra memoria percettiva, nella retina di noi mammiferi terrestri la luce va dal bianco al porpora, passando per i gialli, gli arancioni, i rossi. Luce di sole e luna, di stelle, lampi e fiammelle, di fuoco e di braci.
La luce blu in natura esiste solo nelle concessionarie d'auto.
Luminescenze azzurre e bluastre sono cianotiche e aliene, non usatele per carità: vi fanno spavento anche se non ve ne accorgete.
Le verdi vanno dosate con attenzione, in modica quantità e mai da sole: oltre a produrre un ambiguo lucore da acquario sintetico rendono livida qualunque carnagione e repellente qualunque pietanza.
Da evitare anche il tutto rosso, evocativo di sesso estremo più che di presepe, o a andar bene di camera oscura.
Molta cautela con la combinazione giallo+rosso, amata da pizze al trancio e kebab d'asporto, e con quella giallo+rosso+verde, la preferita da autoscontri, calcinculo e circhi a conduzione familiare.

Infine, si raccomanda oculata considerazione per la quantità. Tremila watt di fulgore non riescono, con tutta la buona volontà, ad ispirare poesia.

Oppure.
Oppure si potrebbe anche pensare un'altra cosa.
La luce, tanta luce, era festa quando il mondo era buio.
Era ricchezza e stupore, era raro e prezioso sfolgorio e meraviglia quando il tramonto era davvero la fine del giorno, quando la notte era lunga e interminabile e di impentrabile gelo l'inverno. Quando le sere e le cene erano incerti e tremanti aloni rossastri, barbagli fiochi galleggianti nel sego, e ombre d'inchiostro fumoso guizzavano dietro le stufe e facevano paura ai bambini.
Ora che abitiamo galassie di neon e tungsteno, metropoli e case sfolgoranti di luci, e risplendono abbacinanti supermercati e parcheggi, mentre pulsano chiarore monitor e lampioni stagliando su perenni accecanti biancori benzinai e baristi, tabaccai e commesse, forse non ha più tanto senso.
Ora che inondiamo di luce l'intero pianeta e oscuriamo le stelle, ora che ogni città a distanza di miglia è una bolla di miasmi lucenti, ogni mezzo si muove bardato di alogene e led e ogni elettrodomestico spento tiene acceso un vigile occhietto rosso in attesa, ora forse la vera festa sarebbe quella del buio.
Buio e oscurità finalmente, a perdita d'occhio.
Le pupille si dilatano grate, il respiro ridiventa profondo. Puoi girare adagio la testa cercando di cogliere un suono, di capire un fruscio. Devi tornare a saggiare, a sentire il terreno, incerto, col piede. Riconosci oggetti e persone sotto le dita, capelli e bottoni, e lembi di pelle. Le parole le senti diverse se non vedi le labbra. E i baci, se gli occhi sono neri su nero.
Facciamo festa, spegniamo le luci.
Vedrai come sarai stupefatto e commosso poi, se farai il bravo, dal palpito incerto di un moccolo.
Ho un fiammifero, ancora. Lo tengo per dopo.




Postato da: sphera a 08:37 | link | commenti (1)


martedì, 06 dicembre 2011

Ci siamo guardati Precious: piuttosto bello, sì, ma il tema è decisamente duro. Così abbiamo detto: adesso un po' di chill out, prima di andare a dormire. Oh, bello, la Parigi del settecento... la ghigliottina, come funziona, poi le fosse comuni e il sangue putrefatto per le strade e la decomposione dei corpi spiegata nel dettaglio, colori, batteri e larve e... Gira, dai. Guarda, fantastico il tizio che deva battere il record e si lancia in bici giù dalla vertiginosa cima del vulcano... Oddio, cade, gesù che volo, per terra tutto scomposto e accartocciato con la moglie che si dibatte e si dispera... Cambia, cambia. Interessante, le miniere dei cercatori di topazi... guarda quel povero omino, rattrappito e schiantato da una fatica disumana, con la moglie e i figlioletti a migliaia di chilometri, e lui che cerca il topazio per riscattare la loro misera esistenza e ha le lacrime agli occhi parlando di loro... Cerca qualcosa d'altro, valà. La peste nera, o bubbonica, inizia con... Gira! Ecco, questo qui dell'universo: le stelle sono neutre, almeno. Perché i composti stellari, e la vita, la morte... ma dopo la morte cosa accade? La coscienza di sé nelle persone in stato vegetativo, e l'attimo in cui si muore e...
Andiamo a dormire.
Che una cazzo di medusa gigante o di orsacchiotto delle nevi non ci sono mai quando ne hai bisogno.

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