lunedì 17 dicembre 2012

Fino alla fine del mondo - 5 -

Naaaaa, ma dai, non mi va. Ma senti, per stasera allora. . Pronto. Oh, ci sei? Dicevo per stasera. Pronto? Pronto? Dove cazzo sei? Ma vaffanculo. Cosa c’è, dice la Michi, niente, mi ha messo giù il telefono. Quel testadicazzo. Magari è caduta la linea. See, vabbè. Come se me ne fregasse qualcosa, di quello sfigato. Aspetta che chiamo... Oh ma dai, non prende. Neanche il mio, ma checazzo. Si guardano, i lipgloss accuratamente corrucciati. Guardano i cosi che hanno in mano, lustri, sottili, luccicanti. Segnale di campo, zero. Andiamo là nella piazza, lì prende di sicuro: ci ho fatto mille telefonate da lì. Si avviano, lustre, sottili, luccicanti. Ma nella piazza il campo è zero. Ascolta, fanculo, sai cosa facciamo, ce ne andiamo al Magillagorilla per conto nostro, ci facciamo l’aperitivo poi si vede, magari facciamo uno squillo al Marco. Ma se l’Andrea ti ha paccato come ci andiamo: in metrò, che palle. Ma sì, visto che siamo qui, son cinque minuti. Scendono le scale, controcorrente. La Michi le viene un dubbio: ma perché tutta sta gente sale? Scusi, ma c’è qualche problema? L’uomo le guarda le tette, che anche sotto il cappotto sono lì apposta, poi si riscuote e va a spiegare: non va, il metrò è fermo, c’è un guasto o non so cosa. Ma tutte le linee? Sì, tutte, da come han detto sembra una cosa lunga. Se ne va, con un’ultima occhiata e un non troppo celato rimpianto. Mh, beh, pigliamo un taxi. Ah già, non posso chiamare, non ho campo. Andiamo alla fermata, siamo in centro, sarà vicina. Sì ma dove? Ah, non so, cerca su internet. Ah, no. Ma che cazzo avranno ‘sti telefoni. Si guardano. Guardano i cosi che hanno in mano, lustri, sottili, luccicanti, muti. ‘Scolta, io me ne vado a casa, mi sono rotta le palle, stasera non è serata. Eh. Vabbè, mi faccio un bagno, mi faccio le unghie, vedo se ribecco in chat quel tipo dell’altra sera. Sì, massì. Però se il metrò non va e non possiamo chiamare un taxi come ci andiamo a casa? La Michi, intraprendente: prendiamo un autobus, un tram. Da qui? Quale si prende? Ah, non so. Guarda su, ah, no. Si guardano intorno, viene buio presto in questa stagione e la luce sta già, quasi impercettibilmente, scemando. Ma ci sarà una roba, uno schema delle linee, no? Tipo comprare una piantina, come avevano fatto i miei quando siamo andati a Parigi che io ero una bambina. Ma dove? In edicola, c’è un’edicola là in fondo, all’incrocio. Si dirigono verso l’incrocio - la borsetta inizia a dare fastidio, anche i tacchi - e incrociano un tram. Anzi due. Fermi sui loro binari. Lei che è la più figa e perciò s ail tono del comando chiede ai tramvieri, che fumano parlando di cose loro: scusi, ma i tram perché sarebbero fermi? E niente, signorina, c’è un guasto: le centraline, sono saltate le centraline, niente, non vanno. Ma scusi ma noi come ci andiamo a casa? È un po’ nervosa adesso, sul limite dello stridore, il tramviere le guarda comprensivo le tette, guardi le conviene andare a piedi, fa ondeggiare la mano sigarettata verso un orizzonte indistinto, le conviene, tra poco fa buio, vi conviene andare, andare a casa a piedi, a casa. Si guardano, guardano intorno, la luce è già bassa, il crepuscolo d’inverno incombe. Ma tu sai andarci, a casa a piedi? Ma sei fuori, no, no, non lo so, cioè boh, magari sì ma saranno due tre quattro cinque chilometri, non è possibile farli a piedi, non è possibile. Ma se no, come? Michi, minchia, checazzoneso! Vabbè, andiamo, poi magari i mezzi ricominciano a andare, si potesse almeno chiamare qualcuno, merda. È decisamente nervosa: slitta sugli stiletti, lei che col tacco dodici è usa a fare acrobazie. Un uomo esce imprecando da una porta scorrevole, le urta: nella sua nicchia il bancomat pulsa dolcemente di luce azzurrina, fuori servizio, dice. Dopo ventisei minuti entrano in un negozio, vogliono comprare scarpe da jogging. La commessa è gentile ma loro hanno fretta, non gliene frega niente di quale modello, vogliono solo togliersi quei plateau. Il sacchetto è già pronto ma sorge un problema: la carta di credito non funziona, il bancomat neanche. Non c’è linea, mi spiace, mi spiace, non avete contanti? Contanti, ma checazzodice! La Michi si intromette, quel tono stridulo la mette a disagio: no, contanti no, va beh non importa, ci scusi, abbia pazienza, andiamo Giulia, andiamo. La commessa le osserva allontanarsi, un fregio di sangue sull’orlo della scarpa, la vescica lacerata cola lungo il tacco. La commessa guarda la sera che scende, non ha venduto niente nelle ultime due ore - il POS non funziona - ha provato a chiamare il capo ma il cellulare non prende. E le tipe hanno detto che il metrò, i tram, è tutto fermo. Prende una decisione, spegne le luci, chiude il negozio: deve pur tornare a casa, anche lei. Il comando della serranda è cieco e muto, la lascia aperta – fanculo - e si avvia, ha molta fretta e un po’ di ansia, adesso. Un giovanotto punta ossessivo sulla sua auto ferma la chiave elettronica come una pistola, che risponde con un dolce schiocco di cilecca. Un altro quarto d’ora, è ormai del tutto buio. E nessun lampione si accende. Porcatroia se non fosse dicembre me le toglierei ste cazzo di scarpe. Io me le tolgo, vaffanculo, porcodio non funziona un cazzo e non so neanche dove siamo, quello là in fondo è viale Abruzzi? Le togli? Ma fa freddo... voglio telefonare, mi sanguinano i piedi, voglio essere a casa, guarda le case sono tutte buie, non c’è corrente, voglio essere a casa guarda quei tre non mi piacciono, è tutto chiuso, tutti i negozi, le cler alzate sembrano abbandonati, voglio andare a casa ho paura mi viene da piangere prova a telefonare non funziona ancora non funziona niente guarda tutte le macchine ferme c’e troppa gente in giro a piedi c’è troppo buio cosa succede ho paura ho paura ho paura.

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