lunedì 25 marzo 2013

Gioventù, onestà, paese reale


Sono belle cose, dette così. Sembra brutto dire che non ti convincono, che il sentirle usare troppo spesso ti rende diffidente, che hai la sensazione siano diventate dei feticci che vanno presi per buoni senza discussione.

Prendi l'onestà, usata come scudo contro ogni critica: questi spaghetti sono una porcheria, non sa cucinare. Forse non saprà cucinare, ma almeno è onesto. 
Onesto a priori, intendiamoci. Senza sapere chi sia e se lo sia davvero, senza ipotizzare che se fa il bidello a Roccabruna è possibile che sia onesto per semplice mancanza di occasioni: l'onestà non è nel DNA come gli occhi azzurri.
Poi prendi Robin Hood: è a tutti gli effetti un ladro e un bandito eppure tieni per lui, e anch'io. Prendi Zorro, un pericoloso fuorilegge mascherato. Prendiamo un funzionario che disobbedisce alla legge e agli ordini e mette in salvo gli ebrei. Prendiamo un pentito, di terrorismo o mafia: era più onesto quando sparando faceva il suo dovere all'interno del suo gruppo o è più onesto nel momento in cui diventa un traditore e a quel suo gruppo fa la spia?
Non è una cosa così semplice l'onestà. Esiste anche l'onestà ottusa di quello che vuole cacciare la famiglia di zingari accampata in un campo di erbacce perché "non è mica loro", di quello che vorrebbe in prigione per trent'anni il classico poveraccio che ruba la classica mela. 
Io non ho dubbi sul fatto che ci fosse un sacco di gente onesta tra quelli che assistevano emozionati ai roghi di eretici e streghe, che ci fossero molte persone che non avrebbero mai rubato uno spillo tra gli incappucciati che appendevano i neri alle querce, che tra coloro che inneggiavano a Hitler moltissimi fossero cittadini di specchiata virtù. Essere onesti ed essere in grado di fare la cosa giusta non sono sempre la stessa cosa.

Ma poi, ti dirò, non sono affatto convinta che l'onestà sia la prima virtù che voglio in chi metto al comando. Vorrei che fosse competente, serio, preparato, vorrei che fosse in gamba. Se poi fosse anche onesto ne sarei felice, sarebbe il massimo. Ma come ben sai nessuno è perfetto: se devo rinunciare a una di queste virtù, seppure a malincuore e anche se inorridisci, è all'onestà che rinuncio.
Perché vedi, se sono su un aereo in mezzo a un uragano io voglio che il pilota sia il più esperto e in gamba che ci sia e non me ne frega niente se tradisce la moglie o bara a carte. Se devo essere operata al cervello voglio il chirurgo più preparato e competente al mondo e pazienza se il SUV l'ha intestato alla nonna morta.

Prendi mia figlia. Ha la faccia e il cuore puliti come neve, è brava e buona e dolce, è di un'onestà limpida come l'acqua di fonte. Ma io davanti al quadro di comando di quell'aereo, io non ce la vorrei. Oltre a volerle un bene immenso la stimo enormemente: è una bellissima persona. Ma non vorrei che fosse lei ad avere quel bisturi in mano.

Eppure, perbacco, è giovane. Cosa vuoi di meglio, è giovane. Una volta si tendeva a pensare che i vecchi fossero saggi, il che come è ovvio non è necessariamente vero: ci sono vecchi stupidi, vecchi ignoranti, vecchi rimbecilliti e incapaci. Così come ci sono, naturalmente, giovani stupidi, ignoranti e incapaci. 
Però invece guarda che succede: non so chi sia, forse è un cretino, forse non saprà cucinare, ma almeno è giovane. Invece di prendere qualcuno che gli spaghetti li fa bene prendiamo questo che è giovane. Mangeremo porcherie per chissà quanto, finché avrà imparato, ma non ci importa. Il problema si porrà poi, perché quando tra vent'anni sarà un cuoco provetto, ahimè, non sarà più così giovane. Ci toccherà sostituirlo con un altro, una faccia nuova, una faccia pulita. E l'entusiasmo degli spaghetti scotti.

E il sapore denso, salato e greve che ha quello che chiami il paese reale. Che a me, realmente, fa abbastanza schifo. 
Mi fa abbastanza schifo il brianzolo che detesta gli immigrati e perdona chi si scopa le ragazzine perché ti dice ammiccando che insomma, in fondo è quello che vorremmo fare tutti. Mi fa arrabbiare il commerciante che si lamenta dell'aumento del ticket intanto che non ti sta facendo lo scontrino, l'imprenditorello che sacramenta perché non funziona niente e vota nello stesso modo da vent'anni. 
Mi fa cader le braccia chi pensa che sia vero perché l'ha detto la televisione, chi pensa che sia vero perché era su internet, su facebook, è lo stesso. Mi fa rabbrividire chi non cerca altro che qualcuno a cui poter dare la colpa, qualcuno che non sia mai sé stesso, qualcuno da poter insultare e odiare e a cui poter attribuire la frustrazione e la rabbia della sua vita triste.
Il paese reale è questo, sai. Fatto di pensionati livorosi, di bulli vogliosi di menar le mani, di impresari con cinquanta magrebini in nero sui ponteggi, di donnette deprivate e invidiose, di giovanotti convinti che la bomba in piazza fontana l'abbiano messa le br e in Italia c'è stato il comunismo per trent'anni.
Il paese reale, questo nostro, è fatto per quasi la metà di persone che in un anno non ha letto neanche un libro, per quasi due terzi di persone non in grado di leggere e capire un testo scritto. Non so tu, ma io non voglio che a governarmi sia il paese reale. 
Non voglio il mio dirimpettaio, la mia fruttivendola, il mio benzinaio, il mio assessore, il mio capo, la mia pedicure, il mio geometra, la mia gattara, il mio vicino di treno, il mio vicino di banco delle medie. Voglio Leonardo da Vinci, voglio Einstein, voglio Mozart e Bramante e Giotto.
E se non posso avere loro voglio Pico de Paperis e Archimede: non Paperino, anche se gli voglio bene.

Il vero terrore è svegliarsi una mattina e scoprire che i tuoi compagni di liceo stanno governando il Paese. (Kurt Vonnegut)

mercoledì 6 marzo 2013

Ma su, non preoccuparti.


A me non preoccupa la rabbia, anzi. La rabbia quella adulta, quella che ti fa battere per un ghetto bombardato o difendere a oltranza una città assediata con 20 gradi sotto zero, quella che ti fa andare in montagna quando c'è da andare in montagna. A me preoccupa la rabbia puerile del bambino che quando non riesce a mettere al suo posto il cubetto giallo butta giù tutta la costruzione e la prende a calci per la stanza. E già che c'è picchia la sorellina.
Mi preoccupa la rabbia incontrollata del capriccio, dello strillare e pestare i piedi senza ascoltare ragioni, quella rabbia che è solo il vomito impotente della frustrazione.
Mi preoccupa la frustrazione di chi si crede povero perché non ha la minima idea di cosa sia la povertà, di chi crede che essere poveri sia pagare di più la benzina per la macchinetta o il macchinotto e non andare a piedi perchè non si hanno i soldi per il tram. Di chi crede che la povertà sia far fatica a pagare il mutuo per la villetta a schiera e non vivere in dieci in una stanza senza riscaldamento e acqua. Di chi crede ci si possa considerare poveri potendosi permettere un computer e una connessione ad internet. Mi preoccupa la frustrazione di chi povero non è, e lo sa, ma cova il risentimento bruciante di non essere ricco abbastanza, di non esserlo di più, di non esserlo quanto il suo vicino che, accidenti, lo merita di meno.
Mi preoccupa la mancanza assoluta di rabbia di chi è povero e derelitto per davvero, dei vecchi, di chi non è in grado di leggere una notizia e capirla, di tutti quelli che fanno i lavori duri e sporchi, di tutti coloro che continuano - ancora e sempre di più - a non avere voce. Ma guarda, neanche un tweet.
Non mi preoccupano le prospettive difficili, le cose faticose da realizzare, gli sforzi, le durezze, i conflitti, le privazioni.
Mi preoccupa il pensiero ormai troppo diffuso che le prospettive possano essere facili se gli si dà il nome giusto, che le cose da realizzare siano sempre semplicissime, basta pensarci e avere un po' di buon senso. Mi preoccupa l'idea che la fatica e la complessità siano ingiustizie, che il mondo ideale sia quello in cui basti pensare a una cosa qualunque per poterla avere: la ricchezza, la giustizia, l'onestà, il potere. Che ci vuole, basta un "mi piace" in più e ce l'abbiamo fatta.
Mi preoccupa chi ancora non distingue tra la leggerezza dell'uccello e quella della piuma.
Non mi preoccupano gli strilli, mi preoccupa il non capire che i capricci di solito finiscono con una sculacciata. Non mi preoccupano i rivolgimenti, mi preoccupa la inconsistente sicumera di chi è sempre convinto che sarà dalla parte vincente della barricata. Non mi preoccupa l'ignoranza, mi preoccupa la presunzione di non aver bisogno di sapere.